Investire nella ricerca conviene
Il programma Itea prosegue spedito, ma i progetti presentati dallea ziende italiane diminuiscono
by Valerio Alessandroni
Lo scorso ottobre si è svolto a Helsinki (Finlandia) l’annuale simposio di Itea (Information technology for european advancement), l’iniziativa nata in ambito Eureka che si propone di promuovere la diffusione delle tecnologie software digitali in ogni settore attraverso attività di ricerca e sviluppo co-operative. In particolare, il programma Itea punta a rafforzare la presenza dell’industria europea nel campo del software embedded e distribuito, alla base di applicazioni cruciali in settori come quello automobilistico, aerospaziale, delle comunicazioni, dell’elet-tronica di consumo e della gestione ambientale. Dal suo lancio nel 1998, il cluster Itea ha giocato un ruolo chiave nel garantire la leadership european ella rivoluzione digitale basata su SIS (Software Intensive System) e servizi embedded. Come sottolinea Paul Mehring, chairman del board Itea, “il risultato è stato una spinta decisa alla competitività di molte industrie europee. Finora sono già stati completati 42 progetti degli 85 approvati, molti dei quali hanno portato alla creazione di nuovi prodotti e anche di nuove imprese”. Le attività di Itea proseguono intensamente, con prospettive commerciali assai interessanti. Circa 40 team di progetto (solo due dei quali, purtroppo, vedono la presenza italiana) - più di quelli presenti al precedente evento nel 2004 - hanno dimostrato le prospettive del loro la-voro. L’attenzione è stata concentrata, in particolare, su tre di questi: Families (gestione della diversità del software in famiglie di sistemi), Osmose (middleware open-source per sistemi aperti) e TT-Medal (metodologie di test e collaudo per linguaggi avanzati). “Le aziende che partecipano a Itea possono condividere una visione comune circa la diffusione della tecnologia software digitale nelle abitazioni, nelle imprese, in applicazioni di tipo mobile, nei servizi e nella stessa creazione del software” afferma Mehring. “I progetti sono focalizzati sulla costruzione di piattaforme e/o
API, sulla proposta di nuove architetture e sulla produzione di standard ufficiali o de facto. Essi rappresenteranno la base per la prossima generazione di prodotti, sistemi e servizi che le imprese europee potranno esportare nel mondo in modo più competitivo”. Naturalmente, uno sforzo così importante presuppone una stretta collaborazione fra le pubbliche amministrazioni nazionali dei Paesi partecipanti, le società fondatrici di Itea, una varietà di piccole medie imprese e aziende start-up, università e istituti di ricerca.
Come abbiamo anticipato, la presenza italiana in ambito Itea sembra essere diminuita in modo consistente rispetto agli anni passati. Che cosa sarebbe ne-cessario fare, a livello pubblico e privato, per rivitalizzare la nostra partecipazione ed evitare il rischio di diventare spettatori passivi? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Pignolo di Italtel, una delle pochissime aziende italiane che stanno partecipando a progetti Itea. “La presenza italiana, già da fine 2004, è prossima allo zero (il portafoglio di progetti italiani del 2005 in Itea consta di una decina di anni-uomo) e non si vedono segnali di miglioramento per il 2006, anno in cui, dal 1°luglio, l’Italia assumerà la presidenza di Eureka”, risponde Pignolo. “Per reincentivare la proposizione di nuovi progetti in Itea, il Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) dovrebbe destinare un bud-get annuale ‘ad-hoc’sul capitolo Eureka” aggiunge Pignolo, infatti, da più di un anno che, presso il Miur, è stata creata la ‘Direzione Generale per le strategie e lo sviluppo dell’internazionalizzazione della ricerca scientifica e tecnologia. Tale Direzione Generale risulta però ancora ad oggi ‘senza portafoglio. Secondo Pignolo, a livello di settori industriali con associata ricerca, l’Italia ha ormai perso il treno in diverse aree (chimica, farmaceutica, elettronica di consumo). “La leadership non è invece ancora compromessa nell’aerospazio e difesa, nell’elettromeccanica, nelle telecomunicazioni, negli elettrodomestici e nell’auto, settori in cui esiste un humus di know-how di indiscutibile valenza, ma che è necessario stimolare anche attraverso la cooperazione e il confronto internazionale” egli aggiunge. Quali potrebbero essere i benefici a lungo/medio termine di una maggiore partecipazione italiana? “Il modello di ‘walled garden’, sinonimo di basso livello di competizione, così come risulta inadeguato come concetto di mercato a seguito della globalizzazione, parimenti esce perdente a livello di ricerca” risponde Pignolo. “Una partecipazione della ricerca italiana nel contesto internazionale è indispensabile per rafforzarla. Il motto deve essere ‘coopetition’(collaboration & competition)” conclude Pignolo.